A Lecce si è concluso il festival del cinema europeo

Si è appena concluso presso Lecce il  la XX edizione del “Festival del cinema europeo di Lecce” , dedicato a uno dei motori pulsanti dell’organizzazione, la direttrice artistica Cristina Soldano. La giuria Ulivo d’oro ha dovuto dibattere, per eleggere infine i vincitori dei molti premi ambiti nella competizione filmografica. Qui di seguito i principali:

“Premio Cristina Soldano al Miglior Film” all’unanimità per The party’s over (Francia, 2017) di Marie Garel-Weiss. Il commento della giuria: “Per la maestria nel rappresentare il senso di dissoluzione dei rapporti sociali, la solitudine esasperata, la deriva sentimentale che è stato un  delle cinematografie europee proposte in selezione. Il tutto affidato alla forza e alla verità delle due protagoniste”.

Premio per la Miglior Sceneggiatura a Stienette Bosklopper per Cobain(Olanda-Belgio-Germania, 2017) di Nanouk Leopold, Il commento della giuria :“Intenso ritratto di un adolescente perso nell’assenza di legami, dialogo, attenzioni e appartenenza”.

Il Premio Mario Verdone 2018, nona edizione, è stato assegnato a Roberto De Paolis per Cuori puri (Italia, 2017) con la seguente motivazione: “un film intenso e insieme carico di realismo che rivela con l’attualità del tema, una capacità narrativa forte fin dalle prime inquadrature. Raccontando marginalità e voglia di riscatto e, senza alcuna tentazione retorica, il film dimostra infatti che -anche in condizioni di conflitti sociali evidenti- esiste la possibilità che un incontro d’amore possa vincere il doppio disagio esistenziale che il vissuto dei due protagonisti, grazie a una regia sensibile e attenta, racconta anche attraverso un’ottima direzione di tutto il cast”.

La sesta edizione del Premio Emidio Greco  è stato assegnato con la motivazione, “Per aver delineato, nella brevità di quindici minuti, un ritratto della generazione post 2000 che non indulge mai nel buonismo o nel giudizio di valore; per la scelta e la direzione della giovane protagonista, che si fa specchio di un malessere adolescenziale che non è mai contingente e soprattutto per la capacità di coniugare, in maniera consapevole e matura, uno stile di racconto pienamente realista con uno stravolgimento delle convenzioni del linguaggio cinematografico, che si traduce in un disarmante sguardo in macchina che fa controllare tutta una serie di certezze acquisite”.