Sergio Rubini riflette sulla città di Taranto del suo nuovo film

Il noto regista Sergio Rubini che è stato intervistato su Huffington Post dalla scrittrice tarantina Flavia Piccinni, ha parlato della città di Taranto, riguardo il suo nuovo film “Il grande spirito” «sarò insieme a Rocco Papaleo. Lui è un barone rampante che non vuole scendere dalla sua terrazza, io un poveraccio che si nasconde per sopravvivere. È interamente ambientato a Taranto».

Da qui l’intervista di è mossa su un argomento pungente, quello della questione Ilva: «Taranto è una delle città più belle d’Italia, e ha un cuore malato. Ha una doppia ferita aperta: l’Ilva e il centro storico. Penso che la questione dell’Ilva verrà risolta esattamente il giorno dopo in cui il problema del centro storico, espressione di una cultura bistrattata e messa in un angolo, avrà trovato una soluzione». Chiede Piccinni: Come è stato girare a Taranto? «Cosa vuole che le dica? Ho trovato della gente fantastica, operosa, ma anche ferita. Sembra quasi che i tarantini si sentano colpevoli di portare addosso questa ferita che gli è stata inferta. Ho visto più pompe funebri a Taranto che in qualsiasi altra città. C’è un clima mortale. Ci pensate alle persone che nei wind day devono stare chiuse in casa? C’è un’ipocrisia profonda. Perché i tarantini non scendono in piazza tutti insieme? Perché non lo fanno?».

Perché? «Perché sono piegati. Il problema dell’Ilva sarà risolto solo quando i tarantini diranno basta, ma dovranno prima essere attrezzati culturalmente. Quando hai un problema, pensi a come devi svoltare la giornata. È necessaria una visione del futuro». Non è forse un problema che riguarda l’intero Paese? «Il nostro Paese è il Paese dell’oblio e della dimenticanza. Penso all’integrazione. Abbiamo dimenticato di essere figli e nipoti di immigrati. Mio nonno arrivò clandestinamente negli Stati Uniti. Vendeva ghiaccio a New York. Questa malattia dell’oblio è la nostra sconfitta. Dimentichiamo la cultura, la ricerca, tutto quello che ci ha resi famosi al mondo. Viviamo alla giornata, come se non esistesse domani».

Dipinge un quadro drammatico. Mi dica che c’è una via d’uscita. «Il raggio di speranza sono i giovani, ma bisogna avere il coraggio di difendere quella luce». Da chi va difesa? «In Italia abbiamo avuto una cattiva politica, e anche dei cattivi intellettuali. Ci siamo convinti che gli ideali coincidessero con le ideologie. Siamo stati affetti da un modernismo che ci ha tolto ciò che siamo. Abbiamo pensato che non esiste la destra e la sinistra, e che siamo tutti uguali. Ma non è vero. Questo miscuglio ha creato il nostro pericoloso presente».