Presso Taranto Angelo Morlando ha creato un museo di giocattoli di valore

TARANTO – Lo stimato gallerista tarantino Angelo Morlando racconta come è nata la sua passione per il collezionismo di giocattoli:“A Taranto ci arrangiammo in una piccola abitazione di via Berardi, in un periodo in cui i giocattoli erano l’ultima preoccupazione- racconta – Ma onestamente l’allegria in famiglia non me li fece rimpiangere. Poi, una volta tornato il sereno, nel tempo mi furono donati un trenino che girava in tondo sul binario e tredici birilli in legno, che conservo tuttora. Sopravvivono alla rottura di una palla trasparente in bachelite che le teneva prigioniere, tre paperelle che galleggiavano sull’acqua”.

“Mi feci una notevole cultura in materia – racconta – con la visita a musei specializzati e la lettura di libri che illustravano la storia e le caratteristiche dei balocchi che hanno segnato ogni epoca. M’incuriosì il fatto che la maggiore quotazione, al contrario di quanto accade nel mondo dell’arte e dell’artigianato, riguardava quegli esemplari prodotti in serie industrialmente e non i pezzi unici”.

“Certe stanze di quella casa assomigliavano a un regno incantato di balocchi, tale da lasciarmi senza fiato – racconta – Mentre parlavo con il proprietario, la mia attenzione fu catturata da un bellissimo Pinocchio in legno, alto circa un metro, che mi fu riferito acquistato nel 1919 a Napoli: così bello da sembrare un sogno. Mi mancò il coraggio di chiederglielo. Mentre riempiva un bustone di giocattoli per donarmeli, il mio interlocutore mi disse che non aveva intenzione di disfarsi di tutti gli altri, essendovi molto affezionato. Non insistetti e iniziai a coltivare l’amicizia, non toccando più l’argomento. Passò del tempo e un giorno l’uomo mi telefonò riferendomi che aveva cambiato idea e che mi avrebbe venduto quanto rimasto in suo possesso. Mi precipitati subito da lui con l’assegno e, quando fui in procinto di ritirare gli scatoloni, mi accorsi che mancava proprio quel Pinocchio. L’uomo si affrettò a portarmelo; mancava però il caratteristico cappello a cono, che mi fu consegnato qualche tempo dopo”.